Regarding Lattes

Si sa che il caso ha il gusto del complottoIl caso Lattes, il bel romanzo scritto da Gualtiero Della Monaca, non sfugge a questa regola.

A beneficio di tutti coloro che hanno la fortuna di vivere o villeggiare (magari da generazioni) ai piedi del Monte Argentario il libro contiene numerosi motivi di interesse. Si tratta di una storia vera e inquietante, un fatto di cronaca nera avvenuto nel giugno 1906: un uomo ucciso da due colpi di pistola in piena notte davanti al cancello della sua abitazione in via dello Sconcione a Porto Santo Stefano. Si chiamava Azzaria Lattes ed era il sindaco del paese.

E’ da qui che comincia il racconto della storia, alternandosi a un repertorio di immagini d’epoca molto ampio, sufficiente, da solo, sia a rendere affascinante la vicenda narrata, sia a fare del volume uno straordinario documento di divulgazione della cultura locale restituita nella sua quotidianità più autentica. Vi sono ritratti tutti i personaggi e molti dei motivi che hanno caratterizzato e definito l’identità del paese. E’ l’occasione per immergersi completamente in una Porto Santo Stefano che non esiste più ma che non ha mai smesso di agire su un presente difficile e avaro di opportunità. Se è vero quel che disse T.S.Eliot e cioè che il tempo futuro è contenuto nel tempo passato (vedi qui), questo libro può esserne un valido esempio.

Il periodo storico cui ci si riferisce è infatti fra i più importanti e fondanti per le sorti della Costa d’Argento. Fu proprio in quegli anni che la vocazione turistica (a svantaggio di quella industriale) di questo territorio iniziò ad essere valutata come la strada più promettente. Può apparire singolare, eppure non sono in molti a sapere che Porto Santo Stefano negli anni a cavallo fra otto e novecento poteva contare su uno sviluppo industriale, per l’epoca, di tutto rispetto.

Pollette

Non è un caso se uno dei principali personaggi del racconto è un immigrato francese, il distinto commendator Federigo Pollette che, oltre a rivestire un ruolo non indifferente nella tragica vicenda del sindaco Lattes, era anche il titolare di un grosso stabilimento per la produzione delle sardine sott’olio all’uso di Nantes che ha dato lavoro per anni e anni a centinaia di uomini ma soprattutto donne (le sardellaie) di tutto il circondario. Questo tipo di commercio ha vissuto alterne fortune ma ha consentito al commendator Pollette di prosperare su una grande fabbrica nel rione Valle (che nei suoi momenti di maggiore lavoro impiegava oltre i cento addetti) e una più piccola a Porto Ercole, utilizzando il frutto della pesca detta a manàite di tutti i pescatori del promontorio.

Il prodotto che ne scaturiva, a giudicare dalle testimonianze dei molti riconoscimenti ufficiali di qualità ottenuti nelle fiere nazionali ed europee, doveva essere ottimo e ben conosciuto. Nel libro si possono ammirare alcune réclame d’epoca e in una di queste la scatola di sardine col marchio Pollette viene ritratta all’interno di un ristorante alla moda, servita da camerieri elegantissimi al cospetto di signori muniti di monocolo e capelli impomatati e sofisticate signore vestite da sera con le spalle nude. In secondo piano il volto mesto e affaticato delle lavoratrici del mare, impegnate nelle proprie incombenze in fabbrica.

Per dire: anche la stessa scatoletta ha avuto una sua storia importante: appartiene proprio al cavalier Pollette il brevetto del metodo di apertura con acclusa chiavetta (con la quale arrotolare la striscia di metallo che sigilla il coperchio) in uso fino a non troppi anni fa. Un vantaggio commerciale ma soprattutto un motivo di grande orgoglio. Occorreva stare attenti: era fondato il timore di incrociare il cammino di concorrenti vivaci e intelligenti. Ecco uno stralcio  dall’interrogatorio che il commissario Ginanneschi, l’incaricato delle indagini dalla procura di Grosseto, somministra a Federigo Pollette per cercare di diradare la fitta nebbia che avviluppa la vicenda:

«Chi è stato l’inventore del metodo di apertura delle scatolette con chiavetta?»
«Io! Chi altri?»
«Ho sentito dire che il signor Lattes si auto attribuiva il merito di aver messo a punto un sistema di apertura straordinario e innovativo che, secondo alcune indiscrezioni, pur sfruttando la stessa tecnica della chiavetta, la superava in ingegnosità.»
A quel punto, Federico Pollette, sempre più nervoso, divenne tutto rosso in viso.
«Il fatto che il brevetto è a mio nome sta a dimostrare senza ombra di dubbio a chi deve essere attribuita la paternità dell’invenzione. È bene che si sappia che non permetterò a nessuno di sottrarmi l’esclusiva.»
«Calmatevi, signor Pollette»

Perchè quel particolare settore dava tutta l’impressione di navigare in acque promettenti e, a un certo punto, la concorrenza doveva essersi fatta molto agguerrita, forse anche tropppo. Azzaria Lattes pensò di gettarsi in prima persona nell’agone, facendo inarcare più di un sopracciglio. Di nuovo, Ginanneschi e Pollette:

“[…]«Dico solo che, data la mia posizione, non posso lasciare nulla al caso. Devo assolutamente capire cosa ci sia dietro quest’affare del signor Lattes che di punto in bianco decide d’investire il suo denaro in un’attività per lui del tutto nuova. Non potete negare, signor Pollette, che la cosa suoni per lo meno un po’ strana.»
«Può darsi, ma se avesse conosciuto personalmente Azzaria Lattes, la sua innata voglia di primeggiare ed imporsi soprattutto davanti alle difficoltà, non sarebbe così sorpreso…»

(Diamine! Sul fatto che Azzaria Lattes sia stato un tipo combattivo non ho dubbi. Devo solo capire fino a che punto.)”

«…e poi il sindaco in questo campo non era così a digiuno come si potrebbe pensare. In occasione della mostra campionaria che si tenne a Scansano nel mese di settembre dello scorso anno, alla quale tra l’altro noi decidemmo di non partecipare, egli fu premiato con la medaglia d’argento proprio in veste di imprenditore nelle conserve alimentari, come lo furono Raffaele Del Rosso e Raffaello Barabesi per le sardine sott’olio.»
«Ah, questo non lo sapevo!»
«Ad ogni modo le posso assicurare che tra noi imprenditori del settore c’è stima e rispetto reciproco.»”

E di industrie ce ne erano: il biscottificio di Cosmo Milano, le miniere di ferro manganese dei fratelli Rae, la fabbrica di mattonelle di Pio Capezzuoli,  la produzione di lisciva da bucato e qualche calafato per le imbarcazioni… Eppure la vocazione di questo territorio, a un certo punto, ci si convinse che sarebbe stata turistica (con tutto quello che questa scelta avrebbe significato), in via praticamente esclusiva.

Carlo Scarabelli

Il romanzo è ambientato nel 1906, da circa una ventina d’anni il paese era diventato (grazie all’opera di divulgazione giornalistica del cavalier Carlo Scarabelli, sanstefanese d’adozione) il luogo di villeggiatura privilegiato di molte famiglie abbienti provenienti dai centri maggiori della Toscana ma soprattutto da Roma. Ciò aveva movimentato non poco la routine estiva del piccolo borgo di pescatori e agricoltori. Erano nati i primi due stabilimenti balneari (non proprio alla maniera in cui siamo abituati a considerarli oggi) che si chiamavano La Quiete e Stella Maris, quest’ultimo dotato di un teatrino di tutto rispetto che pare arrivasse a contenere fino a 400 spettatori.

Qualcuno iniziava a darsi da fare per organizzare feste, serate ed escursioni atte a riempire il tempo degli altolocati villeggianti ma soprattutto le casse di un paese che di sicuro non navigava nell’oro, piuttosto nelle acque infide di un mare capriccioso, i cui prodotti non venivano certo valutati con equità dal mercato. Ecco perché la morte violenta del sindaco Lattes avvenuta proprio all’inizio della stagione delle bagnature oltre a rappresentare un pessimo auspicio, poteva scoraggiare vecchie e nuove comitive di turisti a trascorrere le proprie vacanze in un luogo dove si rischiava di essere assassinati per la strada senza tanti complimenti. Ecco perché il colpevole doveva essere assicurato alla giustizia il prima possibile: l’arduo compito del commissario Ginanneschi, inviato sul luogo del delitto dalla procura di Grosseto. A ben vedere, la seconda vittima dell’omicida avrebbe potuto essere la prosperità del paese.

Tempi duri, dunque, anche prescindendo dai fatti di sangue. E vacche magre. Però ottime le prospettive per il futuro quando si fosse riusciti, in qualche modo, a coniugare il difficile equilibrio fra le due anime, quella industriale e e quella turistica. Cosa che, leggendo queste pagine, sembrava potesse essere a portata di mano. Invece qualche cosa deve essere andato per il verso sbagliato e delle figure e degli episodi di intraprendenza più strutturati di una conduzione familiare non è rimasto quasi neppure il ricordo.

Forse un occhio acuto saprebbe cogliere le ragioni ultime della morte del sindaco Azzaria Lattes anche in questi risvolti. Bisogna aggiungre che il suo è un cognome da queste parti non è certo di casa. L’origine di questo sfortunato amministratore di religione e stirpe ebraica non è però molto lontana: basta spingersi fino a Pitigliano. Lì i Lattes sono molto conosciuti, essendo annoverati fra le colonne portanti della comunità ebraica, vivace e un tempo molto più florida e numerosa di oggi, ma che ancora oggi permette di riferirsi a quel paese come alla “Piccola Gerusalemme”.

E’ lì che è nato Azzaria, nel 1857. Ed è da lì che decide di trasferirsi prima a Orbetello e poi definitivamente a Porto Santo Stefano, da poco convolato a seconde nozze, dopo un primo matrimonio sfortunato che però gli aveva fatto dono di tre figli. Farà dell’attività commerciale e di quella bancaria la sua professione e in pochi anni riuscirà ad affermarsi e a diventare una delle personalità più in vista, rispettate e ben volute del paese. Un’intelligenza brillante e attiva lo porta a sedersi negli scranni amministrativi prima di Orbetello e poi di Porto Santo Stefano, come consigliere e poi come sindaco.

Una invidiabile integrazione nel tessuto sociale del paese: ognuno conservava una parola di riguardo per Azzaria Lattes. Oppure, forse no. E’ necessario ipotizzare che qualcuno non nutrisse nei suoi confronti sentimenti piacevoli. Una cosa è certa: comunque la si voglia pensare la sua è stata una morte indotta, non naturale. E’ stato l’esito crudele di un sordo rancore maturato nel tempo, l’incidente finale di un fermento silenzioso e ostile appartenente non alla totalità della popolazione ma a una sua piccola parte, la più influente? O addirittura ad una fazione di quelle elite che, agendo in un cono d’ombra, facevano il bello o il cattivo tempo di questa parte di mondo?

I coniugi Lattes – Adina e Azzaria

Ma il commissario Ginanneschi lo aveva capito? Eccolo che interroga Adina, la moglie, anzi, la vedova di Azzaria Lattes:

«Bene! Ditemi: vostro marito aveva mai ricevuto minacce o avvertimenti di sorta?»
«No, che io sappia. Tutti lo stimavano e gli volevano bene.»
«Voi capite, però, che vostro marito era una figura di primo piano nella vita pubblica del paese, e non solo. L’esperienza m’insegna, signora mia, che quando si ricoprono cariche così importanti è facile che si vada a toccare gli interessi di qualcuno e farsi dei nemici diventa quasi inevitabile.»

(D’altra parte non vedo possibili moventi nell’ambito familiare, tanto meno credo possa trattarsi di un tentativo di furto o rapina finito tragicamente. Sono propenso ad escludere anche qualsiasi implicazione di carattere religioso, per cui non rimane che indagare sulle iniziative politico-amministrative e sulle attività economiche della vittima che, come tutti sanno, svolgeva un ruolo di primo piano sia nell’uno che nell’altro campo.)

«Sia io che i figli di mio marito abbiamo la massima fiducia nella polizia e siamo convinti che lei, commissario, riuscirà presto a scoprire il colpevole.»
«Lo spero, signora.»

Perché, tutto considerato, qualche ombra funesta il quadretto della placida vicenda paesana dipinta e precisamente di natura massonica, sia nelle personalità più intraprendenti che nelle pratiche adottate. Nel libro si usa l’appellativo di Monopolio, rintracciabile nelle cronache dell’epoca. E da chi era formato questo Monopolio? Dava motivo di ostilità? Si sa che Lattes era stato protagonista di alcune scaramucce inizialmente di persona, poi per via giornalistica (attraverso una serie di velenosi botta e risposta pubblicati sul periodico L’Ombrone) poco tempo prima di morire, proprio con il cavaliere Federigo Pollette. Nel romanzo vi si fa ampio cenno. L’episodio che ha fatto culminare il malanimo era stato un incontro fra i due, avvenuto una sera di sei mesi prima della tragedia, a proposito della reale entità delle produzioni degli impianti Pollette e al cospetto di un terzo personaggio degno di attenzione.

Si trattava di Raffaello Barabesi, gentiluomo residente ad Orbetello ma nato nel 1847 a Montemassi, titolare di un florido pastificio (con sede in quello stabile che in riva alla laguna tutti conoscono ancora come “il Mulino”) che utilizzava grani maremmani e di uno stabilimento per la confezione delle sardine in scatola molto simile a quello di Pollette. Ricco di famiglia, si era formato nel seminario arcivescovile di Siena e fu colto autore, fra l’altro, di una rinomata e monumentale Bibliografia della Provincia di Grosseto pubblicata nel 1930, imprescindibile punto di riferimento per i decenni a venire (e forse ancora oggi) degli studiosi locali. Fu sindaco di Massa Marittima e, en passant, Maestro Venerabile della Loggia Socino dell’Oriente di Siena (vedi qui). Squadra e compasso. 

Era il solo ad indossare il grembiulino? Nel romanzo le prassi del Monopolio sono ben tratteggiate e, seppur attraverso l’artificio della letteratura, le vicende e le persone descritte sono le medesime delle cronache di allora: non si trattava di un singolo, ma di un gruppo di pressione molto determinato che ha giocato un ruolo decisivo per le sorti del paese e, in qualche modo, per quelle del sindaco Lattes.

Ernesto Nathan

Poi, nel quadro, è utile mettere in evidenza certi dettagli minuscoli ma molto significativi. C’è un altro sindaco (futuro) che sente la necessità di inviare le sue condoglianze via telegrafo: è Ernesto Nathan il quale nel giugno dell’anno seguente (il 1907) sarebbe diventato primo cittadino della città eterna (da alcuni anni salita al rango di capitale d’Italia) in uno dei momenti di effervescenza più spettacolari di Roma anche in ragione di una espansione edilizia colossale e velocissima. E Nathan era stato Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia dal 1896 e lo sarà di nuovo dal 1917. Ebreo anche lui e di cultura radicale e laica: un veemente “mangiapreti”, come si usava dire. Mazziniano convinto e grande sostenitore dello spirito unitario. Probabilmente non è improprio affermare che l’unità d’Italia sia scaturita anche dalla coesione delle varie aree regionali facenti capo ognuna ad un “Oriente” a sé stante. Ma questa è un’altra storia…

Nel romanzo è riportata la trascrizione dell’articolo scritto dal medico condotto di Porto Santo Stefano, giornalista per passione, uno dei protagonisti del libro: Arturo Cantieri (che era solito firmarsi con lo pseudonimo di Nemo). Costui scrisse un pezzo per il quotidiano l’Ombrone che annunciava il triste evento della morte di Azzaria Lattes e riportava i nominativi di tutti coloro che avevano mandato l’estremo saluto. Per conto della Massoneria, si legge, il nome di Ernesto Nathan vi appare associato a quello di Ulisse Bacci, altra notoria e alta eminenza con il cappuccio a punta. Gran Consigliere dell’Ordine, era anche il direttore (dal 1904 al 1925) della Rivista Massonica. Inoltre, autore di un grosso tomo dal titolo, Il libro del vero Massone (che sempre il caso ha voluto venisse ripubblicato proprio quest’anno).

 “[…] Telegrafarono condoglianze sentite i Sindaci di Pitigliano, Orbetello, Isola del Giglio, Magliano, Castel del Piano, Scansano, Castiglione della Pescaia, il Prefetto di Grosseto, i Direttori della Banca d’Italia,del Credito Agricolo di Siena, della Banca Commerciale di Livorno, del Banco Kuster di Firenze, della Banca di Viterbo e Banco di Roma, gli avvocati della curia di Grosseto e di Firenze, il Presidente del Consiglio Provinciale di Grosseto comm. Aldi-Mai. L’Intendente di Finanza di Grosseto, il Cav. Ponticelli e comm. Egidio Bruchi di Grosseto, Margheri venerabile della Loggia Ombrone di Grosseto, il prof. Ettore Ferrari, Ulisse Bacci ed Ernesto Nathan per la Massoneria, il Direttore dell’Etruria Nuova, il sig. Mortola di Genova, prof. Banti, le Ditte Ascarelli Roma, Impresa Messeri Livorno, prof. Ulisse Grifoni, Principi Corsini Firenze, Cooperativa Fonditori Firenze, Fabbrica gioielleria Brizzi Firenze, prof. Biondi e Spediacci di Siena, Stabilimento tip. Paggi Firenze e l’Università Israelitica di Pitigliano, nonché un numeroso stuolo di amici di ogni parte d’Italia. NEMO”

C’è anche Ettore Ferrari che, per inciso, è stato lo scultore cui si deve la statua di Giordano Bruno, quella che campeggia al centro di Campo de’ Fiori a Roma. Ma che, come racconta anche Wikipedia, fu molto più di questo:

“Divenuto Gran Maestro nel 1904, impresse al Grande Oriente d’Italia un più netto orientamento di carattere radicale e anticlericale: nel suo discorso di insediamento così delineò il ruolo che l’Obbedienza avrebbe dovuto ricoprire: «la Massoneria non deve tenersi costantemente isolata e nell’ombra, ma scendere a contatto della vita, combattere alla luce del sole le sante battaglie dell’alta sua missione per la tutela della giustizia e per la grande educazione. Nuovi bisogni presentano nuovi problemi; nuovi problemi esigono nuove soluzioni; da nuovi doveri scaturiscono nuovi diritti. La Massoneria non può, non deve chiudere gli occhi alla nuova luce, ma fissarla, scrutarla e dirigerla». Da convinto repubblicano, per esempio, il Ferrari, oltre alla tradizionale difesa della laicità della scuola e ai consueti temi anticlericali, propugnava un maggior impegno sui temi attinenti alla legislazione sociale.”

Del resto sembra che Azzaria Lattes fosse uscito di casa proprio per recarsi a Roma per affari nella tragica notte che ha concluso la sua esistenza. Ecco che la presenza di certi nomi su un telegramma diventa una suggestione da tenere in considerazione. Che tipo di relazione poteva esserci fra l’amministratore di un piccolo paese costiero e personalità di quel calibro, erano solo amici? Allora perché gli organi più alti di quella consorteria sentirono il bisogno di manifestare la propria vicinanza allo scomparso in quanto “massoneria”? Diventa opportuno chiedersi se i disegni grandi non andassero a intersecare quelli piccoli nei giochi politici, economici e amministrativi di quegli anni.

C’è poi un altro elemento da considerare: essere ebrei in quel periodo non doveva essere affatto facile, anche in questo piccolo angolo di mondo non troppo nevralgico. Gualtiero, nel corso di una chiacchierata, mi ha raccontato di essere risalito a episodi violenti di antisemitismo ad Orbetello nei primi anni dell’800. E del resto, allargando un po’ lo sguardo, appartiene proprio alla seconda metà del XIX secolo la produzione di quell’immaginario antisemita che sarà la base narrativa dei deliri razziali pseudoscientifici del ‘900. Si trattava, in definitiva, di un periodo storico movimentato ma colmo di contraddizioni ed è proprio in uno scenario così pervaso di conflittualità, alcune latenti e altre meno, che lo stesso Risorgimento italiano ha affondato le proprie radici completamente.

Come si dice, il sonno della ragione genera mostri: la storia e persino la memoria raccontano fino a che punto l’umanità è giunta abdicando da se stessa su questo versante. E’ possibile che una lettura antisemita della vicenda Lattes possa risultare fuori fuoco non potendosi giovare di basi documentali a supporto (quando queste  fossero mai esistite). Tuttavia non sarà inutile ricordare che il retaggio dei decenni precedenti culminava proprio in quegli anni con la pubblicazione, nel 1903, dei Protocolli dei Savi di Sion, un libro che è un falso storico conclamato (ma di colossale e perdurante fortuna), presunta prova provata del complotto degli ebrei per la conquista del mondo. Può sembrare pazzesco e inverosimile eppure questi scritti furono presi molto sul serio.

E i Protocolli non furono che una tappa, una delle più insidiose e palesi, di un cammino antisemita sempre meno sottotraccia che nei casi più controllati attribuiva agli ebrei il progetto di far diventare i propri figli medici e farmacisti in modo da poter dominare sia il corpo sia la mente dei cristiani.

Quella era l’aria che tirava allora in Europa. E quello citato non è che uno dei molti esempi di crescente intolleranza che contraddistinsero gli anni in oggetto, saturi di nazionalismo protervo, anni nei quali si stava affermando anche il movimento sionista. Un altro caso celebre di intolleranza fu l’affare Dreyfus in Francia; un altro ancora fu il fenomeno dei pogrom in Russia. Il che può far inquadrare sotto una luce sinistra un estratto dal romanzo che riporta la cronaca delle reazioni ebraiche al triste accadimento:

“[…] Sul Vessillo Israelitico la corrispondente da Pitigliano Anna De Benedetti Servi sembrava non avere dubbi sulle cause della morte:

Impressione assai dolorosa ha prodotto qui la tragica fine del nostro concittadino Azzaria Lattes, Sindaco di S. Stefano. Osservante dei nostri riti, egli mi scriveva queste parole che desidero conservate nel Vessillo: “Non si vive di solo pane: nato nella buona fede religiosa, con questa son sempre vissuto.” Ancor ci risuona dolce all’orecchio quando egli nell’ultimo Kippur intonava El norà nalilà. E ce lo hanno ucciso!”

Sono molte, dunque, le interpretazioni possibili di un caso tanto singolare per una località al contrario apparentemente così spensierata. Perchè in questo libro la tonalità dominante è proprio quella della levità: è bello leggere i tratti di una vita semplice votata al lavoro e al sacrificio, ma felice. La vicenda delle indagini e della risoluzione del caso è affidata ad un registro leggero e a personalità solide e gentili che sapevano condurre la loro esistenza con lealtà godendosi la vita, talvolta indulgendo in atteggiamenti un poco leziosi che bene paiono restituire quella che doveva essere l’atmosfera che si respirava in quegli anni in quel ceto sociale, a metà fra alto e basso. Il lato luminoso della luna (o almeno piace immaginarselo così).

Massimiliano Cavallo

 

TITOLO: Il caso Lattes – chi ha assassinato il sindaco di Monte Argentario?

 

AUTORE: Gualtiero Della Monaca
PAGINE: 352
COLLANA: Grandi Narrazioni
ISBN: 978 88 6433 115 7
ANNO DI PUBBLICAZIONE: 2011
PREZZO: euro 18.00

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